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VISIONI dell’ULTIMA CENA

Il Cenacolo vinciano, capolavoro della pittura leonardesca, una delle attrazioni artistiche  italiane più note, dipinto verso la fine del Quattrocento nel Refettorio della Chiesa domenicana di Santa Maria delle Grazie a Milano. Per ammirarne la straordinaria bellezza, il sofisticato e delicatissimo cromatismo a tutt’oggi “vivo” grazie ad eccellenti restauri, i visitatori devono prenotare la propria visita con anticipo, e ammirarne stupefatti lo splendore per quel breve lasso di tempo concesso ad ogni singolo gruppo convenuto. Vidi molti anni fa questo celebrato dipinto parietale, in occasione di una gita scolastica, e come spesso accade agli adolescenti in visita, non conservo un ricordo preciso dell’emozione provata. Eppure sono state diverse, negli anni, le occasioni per  ammirare e riconoscere il capolavoro di Leonardo in diverse dislocazioni e con differenti declinazioni e interpretazioni. Questo tema sacro e simbolico dell’Ultima Cena,  The Last Supper col quale tanti artisti si sono confrontati, narra della cena che Gesù fece in compagnia dei suoi Apostoli ai quali affidò il compito di commemorare “il corpo e il sangue” con il pane ed il vino, consapevole che quella sarebbe stata la sua ultima cena con loro. Nella stessa occasione viene palesata l’ amara constatazione che tra gli amici vi è qualcuno pronto a tradire. E su questo  aspetto del tradimento, del piacere del cibo e del vino, gli spunti per reinterpretare il tema dell’Ultima Cena sono stati colti da grandi artisti, nel passato come nel presente.

Ho dedicato qualche ora alla ricerca, tra i vari scatti archiviati nel pc, di Ultima Cena visionata in occasioni di visite a città o musei, sorprendendomi per le numerose riproduzioni –o reinterpretazioni riscontrate. Spesso inaspettatamente sorpresa da energici impatti emotivi suscitati dalla visione di queste opere, così come dalla semplice e magistrale riproposizione della classica iconografia dell’originale dipinto. Eccone il mio personale excursus.

Leonardo da Vinci, 1494-97 Ultima Cena , Milano, Chiesa Santa Maria delle Grazie

Romanino, Ultima cena , Refettorio Missionari Saveriani, Brescia

Installazione temporanea. Ultima Cena – Chiostro San Zeno, Verona

Mosaico del Raffaelli, 1817 – Ultima Cena , Chiesa dei Minoriti, Vienna

Arts&Foods per Expo 2015 – A.Worhol The Last Supper Triennale Milano

 

Roberto Altmann, Ultima cena, Museo Sant’Agostino Genova, Mostra temporanea

MILANO, la mia città

 

Si dice spesso che i soldi spesi meglio siano quelli utilizzati per VIAGGIARE: concordo.

La possibilità di conoscere, non solo attraverso testi e video (al giorno d’oggi meravigliosamente realizzati tanto da “farci sentire quasi fisicamente là”), ma soprattutto trovandoci fisicamente a vivere l’esperienza del VIAGGIO, della VISIONE, della PERCEZIONE dei luoghi, formano e accrescono la nostra sensibilità, il piacere di conoscere e confrontarci. Qualunque viaggio si affronti, la predisposizione al voler TROVARSI nel luogo, assorbendone luci, colori, profumi, musica, dinamismi, eccentricità … è, a mio parare, la ricchezza vera dell’esperienza di viaggio. Da quando salgo sul treno, e mi scopro ad osservare la molteplicità delle persone, ognuno con il proprio bagaglio di vita in parte riflesso nei volti, nei movimenti, negli abiti, comincia per me una scoperta ogni giorno creativa, stimolante. La grande città -e Milano per l’Italia lo è davvero- attrae per la molteplicità di vite che vi trascorrono ogni giorno parte della propria esistenza. Città cosmopolita di cui ho piacere entusiasmarmi per la sola visione estetica, i suoi  spazi, i volumi, i rumori, la frenesia che la identificano, trascurandone i difetti, che lascio volentieri analizzare a chi, su questo, fa dibattito sociologico e politico.

Milano è per me BELLA!! Vi trovi Gallerie d’Arte a cielo aperto -la Street Art dei graffitari- e importanti raccolte di Pittura d’Accademia; rimani stordito dal rincorrersi di clacsons e sirene nel Corso trafficato e rifai pace con te stesso nelle viette  tranquille animate dal  solo echeggiare dei suoni domestici del palazzo di rimpetto; ti puoi imbattere in  comitive di giapponesi ordinatamente variopinte, o in  sparuti crocchi di anziani sulle panchine dei giardini o ad osservare i “lavori in corso” per l’ennesimo scavo della metropolitana; puoi incrociare eleganti signore con il cagnolino al seguito o sfreccianti skateboardisti estraniati nella propria musica in cuffia; ritrovare, rinnovata ma perenne, la gigantografia di Armani in via Broletto; distinguere quell’occhio di bottega quasi nascosto tra ristoranti etnici e centri estetici … Milano ha una sua architettura elegante e borghese, Palazzi nobiliari con incantevoli cortili “protetti” da ombrosi androni, e vibrante dinamismo e gioco di specchi e volumi nello skyline di Piazza Gae Aulenti e di City Life. La Bocconi, La Rinascente, il Quadrilatero della moda, i fasti di EXPO 2015, i personaggi del gossip, le inchieste giudiziarie  … Milano fa parlare di sé in molti modi

Business e Artigianalità, il Conservatorio e il Blue Note, La Scala ed i teatri d’avanguardia, la Gastronomia meneghina e il Fashion Food, la vertigine architettonica della Torre Unicredit e le Cà de Ringhera sul Naviglio …. Culle d’incanto come  San Maurizio o la Casa Museo Boschi – Di Stefano e Bagatti – Valsecchi, perle di eccellenza culinaria da Cracco a Marchesi.  Chiostri meditativi e Parchi cittadini … La settimana della Moda, del Dsign, del Libro, Piano City, Taste of Milan, il Salone del Mobile …  Un privilegio vivere Milano.

 

CHE OCHE!!!

Grazie a questi biscotti sono venuta a conoscenza di una storia vera, di sensibilità umana e di intraprendenza. “Becco di Rame” è il nome dato a un oca allevata in Toscana cui è stata creata una protesi in rame “in vece” del proprio becco, distrutto durante una colluttazione con una volpe che minacciava piccoli di oca e papera. Un abile veterinario le ha ricostruito il becco in rame, in modo che l’animale potesse continuare a cibarsi autonomamente. Un bel lavoro teatrale con simpaticissimi e colorati pupazzi ha portato in scena questa storia, a cura de  il  Teatro del Buratto di Milano. Per i bimbi che assisteranno a questo spettacolo ho realizzato questi simpatici biscotti.

Ingredienti: GR.380 FARINA 00, GR.100 ZUCCHERO, GR.250 BURRO, 2 UOVA, UN PIZZICO DI SALE, VANIGLIA E SCORZA DI LIMONE PER AROMATIZZARE.

Impastare gli ingredienti a mano o, più comodamente, con una planetaria. Quando l’impasto risulta morbido e compatto, avvolgerlo in un foglio di pellicola e conservarlo per un paio d’ore in frigorifero. Lavorare poi la pasta brevemente per farle riacquistare elasticità, poi stenderla ad uno spessore di circa 4 millimetri e, con un coppapasta -quello da me utilizzato è stato appositamente modellato da mio marito- ritagliare le forme di oca. Re-impastare i ritagli e proseguire a creare i biscotti. Accendere il forno a 165°C. Distribuire le oche su un foglio di carta da forno, spennellare becco e zampette con una miscela composta da 1 tuorlo, poca panna e una generosa spolverata di curcuma, inserire una sferetta di zucchero a simulare l’occhio. Infornare per 15 minuti circa, o fino a che inizino appena a dorare. Conservare i biscotti lasciati ben raffreddare in scatole di latta.

EXPO ARTE VAREDO

Expo Arte Italiana, inaugurata lo scorso 19 giugno nella cornice d’antan di Villa Bagatti Valsecchi a Varedo. Serata di emozioni e mondanità, con spettacolo pirotecnico finale. Resterà aperta fino al 31 ottobre.

Serata di emozioni: una passeggiata al calare del sole, nel parco cittadino, le nuvole a striare il cielo, il vento a diffondere quel profumo intenso di terra, erba medica- mentosa, il culmine dei cipressi curvato dal vento. Alle nostre spalle le musica si allontana, la festa continua. Un pomeriggio che non ti aspetti, quasi dietro la casa abitata per tanti anni ignara della presenza di questo bel parco e Villa. Scopro poi che è solo da pochi anni che la Villa Bagatti Valsecchi di Varedo ha riaperto al pubblico, lasciata per anni chiusa e senza una gestione intraprendente che ne vedesse le potenzialità attrattive. E a giudicare dal numero di persone ieri accorse,  la sua potenzialità è davvero alta, complice l’evento di richiamo, a marchio EXPO, e i nomi dati per presenti. Il più elegante, il signore dell’arte culinaria italiana, Gualtiero Marchesi,  persona di garbo ed eleganza, seduto fin dal tardo pomeriggio su una panchina sul retro della Villa, nel parco in  attesa dell’inizio dell’evento. Il rispetto per il lavoro di chi si è molto impegnato, anche a titolo gratuito come i VVV (Volontari  Versiera Varedo), il rispetto per un invito importante, come molti altri nella carriera di uno chef di fama, .. la pazienza e il garbo di saper capire la difficoltà della gestione di  un evento che vede la presenza di politica, cultura, arte. Saggezza e un’età di riguardo aiutano, ma certa sensibilità è innata!

Ha ottanta anni anche il signore che, con la sua nipotina di cinque, si siede sulla mia stessa panchina, ad assaggiare le piccole delizie proposte dal catering. Un volto sereno, inevitabilmente segnato dal tempo. Gli domando se fosse del posto, e se questo giardino così ben tenuto fosse sempre stato aperto al pubblico. Mi risponde garbatamente, dicendomi che da qualche anno lo stanno riportando al bel parco che fu quando lui era giovane e, durante l’estate quando i signori baroni soggiornavano altrove, lui come tanti bambini del Paese, accompagnati dalle suore, trascorrevano il pomeriggio nel parco, nuotando nell’ampia vasca della fontana (oggi non più funzionante) e consumando, offerto dal signor barone, il pranzo all’aperto, in quella da lui ricordata -come veniva definita dalle suore di allora- “una vacanza elio-terapica”. Prosegue nello spiluccare qualche tartina sorseggiando, con la nipotina, una bevanda fresca.

Poi capisco che ha desiderio di potermi raccontare ancora qualcosa di quel suo passato che, questa serata all’aperto, forse gli fa tornare alla mente: io, compiaciuta, proseguo nell’ascolto. Mi spiega che molte statue erano presenti nel giardino, e che i contadini, nei mesi invernali, si occupavano della manutenzione del parco, realizzando con i ciottoli i vialetti di camminamento, che riportavano lo stemma del casato. Ma il suo vero desiderio non è quello di rievocare le vicissitudini del luogo, ma di coloro che quel luogo hanno abitato. Mi parla di un signor Barone, don Pasino Bagatti Valsecchi, i suoi quattro figli, di cui una ragazza divenuta cieca, e dei pomeriggi in cui scavalcava il muro di cinta che separa la sua più modesta casetta, tuttora da lui abitata, da questo bel parco, perché invitato dai figli del barone a giocare con loro. Mi racconta dello stalliere che, alla notizia del prossimo arrivo della famiglia in Paese, preparava la carrozza con quattro cavalli bianchi e si recava alla stazione per accogliere i Baroni giunti da Milano col treno. Ricorda la generosità di un uomo a rendere disponibile la sua ghiacciaia per i macellai del paese, e la puntualità con cui la baronessa, ogni domenica, faceva visita alla mamma di questo, oggi, anziano uomo, e, conoscendo il bisogno della donna, malata, di refrigerio, portasse lei il ghiaccio di cui necessitava. Si commuove, e ha commosso anche me, nel ricordo del funerale della sua mamma, scomparsa all’età di 42 anni, quando lui era ancora un bambino. La baronessa, dopo il rito in chiesa, si recò nella loro casa, e si rese disponibile ad invitarli nella sua casa …  

“pensi, noi che non eravamo nessuno a confronto”


… Sentirsi “un nessuno” è davvero una ingiusta attribuzione per un uomo di così tanta sensibilità da riuscire a farmi vivere un momento di grande intensità in una serata mondana, le cui prerogative erano tutt’altro. Non ho chiesto il nome a questo nonno, ma sicuramente lo ricorderò come uno di quegli umani incontri casuali che, più di altri agognati, lasciano un segno profondo nella quotidiana routine; lo ringrazio per aver contribuito a trasformare una piacevole serata di inizio estate, resa possibile grazie alla professionalità e alla generosità di un bravo imprenditore canturino, in una giornata da ricordare, certa più che mai che vi siano davvero tante persone capaci di apprezzare la vita e viverla nella serenità cogliendo il piacere di ogni piccolo o grande avvenimento.